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Old 13-09-2010, 16:14   #1
Darkness
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Default The cove. La baie de la honte

Ecologia al cinema
THE COVE
LA BAIE DE LA HONTE

"The Cove", dall'oceano alle gabbie la vera vita dei delfini
L'eco-film che sta facendo discutere l'America denuncia la cattura dei delfini in Giappone.
E dopo averlo visto divertirsi ai parchi acquatici sarà più difficile...

di Chiara Beghelli

"The cove", un film contro il business dei delfini
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"Home", un film dal cielo
per salvare la Terra

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Era giovane, aveva un lavoro molto glamour e una Porsche. Ma quando l'amata Kathy gli morì fra le braccia, Ric O' Barry capì che avrebbe dovuto lasciare per sempre a bordo piscina cerchi e bacchette, i suoi strumenti da addestratore di piccoli cetacei.
Kathy era una femmina di delfino che, depressa da un vita in gabbia, si era lanciata fuori dalla vasca per suicidarsi, trattenendo il respiro.
Ed era anche uno dei delfini che lui, a partire dagli anni sessanta, aveva catturato per farli recitare nella serie tv "Flipper" o per "liberarli" nelle vasche dei parchi acquatici, dove avrebbero fatto divertire i bambini con le loro acrobazie.

Ma qui non c'entra il sorriso dei bambini. Qui si parla di un traffico da 2 miliardi di dollari all'anno, sospeso fra la legalità e il coinvolgimento della Yazuka, la mafia giapponese, un business che condanna migliaia di delfini a un destino di morte, che provoca lo sconvolgimento degli equilibri del mare e perfino rischi per la salute umana.

Dal giorno della morte di Kathy Ric O' Barry ha iniziato a impegnarsi per il boicottaggio dei parchi acquatici, tagliando le reti delle loro gabbie da Haiti al Brasile e scrivendo libri. L'Onu, nel 1991, gli ha conferito un premio per l'impegno ambientale.

Ma oggi tutte le sue energie si concentrano intorno a una tremenda scoperta: quella di "The Cove", una placida laguna sulle coste di Taiji, in Giappone, al centro di un parco nazionale, punto di incontro fra i delfini e luogo dove ogni anno, per sei mesi, si danno appuntamento i cacciatori di cetacei, pescatori e acquirenti occidentali pronti a sborsare anche 150 mila dollari per aggiudicarsi un delfino da portare nelle loro megapiscine.

I giapponesi catturano illegalmente 23mila delfini l'anno, appellandosi alla legislazione della International Whaling Commission che consente la pesca – limitata - dei piccoli cetacei.
Quasi la metà dei delfini che vivono in gabbia, però, muore nel giro di due anni: in libertà nuotano per più di 40 km al giorno e scendono anche a 100 metri di profondità.

Jacques Costeau una volta ha detto che «studiare il comportamento dei delfini partendo da quello degli esemplari in cattività è come pensare che l'umanità sia composta solo da chi è in carcere».

La storia di "The Cove" è diventata un film sospeso fra il giornalismo investigativo e l'eco-avventura, ha già vinto il premio del pubblico all'ultimo Sundance Festival ed è stato presentato anche al Roma Film Festival.

Negli States tutti ne parlano, tanto che il docu-film promette di avere la stessa dirompente forza di uno dei suoi celebri predecessori, vale a dire "Una scomoda verità" di Al Gore.

Se l'idea è stata di O'Barry, la regia è di Louie Psihoyos, uno dei più apprezzati fotografi naturalistici, inserito da Fortune fra i dieci migliori del mondo. I due si incontrarono a un convegno sui ammiferi marini, e quando Psihoyos si accorse che lo sponsor dell'evento aveva bloccato l'intervento di O'Barry, volle capire chi fosse quel personaggio.

Da quel primo incontro, nel giro di un anno è stata messa insieme una produzione degna della Hollywood più ricca, capeggiata da Paula DuPre (quella della saga di Harry Potter, per intenderci) e con padrini come Steven Spielberg e George Lucas. Sponsor principale dell'impresa, la Ocean Preservation Society di Jim Clark, professore di Stanford nonché uno dei creatori di Netscape.

Anche la squadra di Ric e Louie non ha nulla da invidiare ai team d'assalto: cameraman subacquei, biologi marini, anche cacciatori di tesori sommersi, sono stati ribattezzati "Ocean's eleven", gli undici dell'oceano, sulla scia dei film di Steven Soderbergh con George Clooney.

Nella baia circondata da alte colline è vietato entrare, ma con appostamenti notturni, telecamente nascoste, elicotteri telecomandati, software di ripresa video avanzatissimi e immersioni clandestine, gli ocean's eleven sono riusciti a rubare le immagini della cattura dei delfini, farne vedere i metodi, come i sistemi di onde magnetiche che generano panico nei mammiferi perché annullano il sistema sonar con il quale comunicano, ma anche fiocine e ganci.

Con il loro misto di poesia e terrore quelle immagini hanno fatto saltare sulle poltrone gli spettatori del Sundance festival, ma hanno anche scalfito il governo di Tokyo, che infatti ha bloccato un programma per fare entrare nel menù delle mense scolastiche la carne di delfino.
Un primo risultato che rende molto fieri O'Barry e i suoi, visto che il governo giapponese ha cercato di nascondere all'opinione pubblica che la carne di delfino è fra le più contaminate dal mercurio.
Ma al Tokyo Film Festival il film, guardacaso, non è stato accettato.

Dopo il film, che arriverà in Europa a fine anno, la battaglia di O'Barry continua con il sostegno di Participant Media, organizzazione specializzata che ha già collaborato con "Good night and Good luck", "Syriana" e "Una scomoda verità".

Potete anche andare sul sito savethedolphins.org e compilare una lettera-form che sarà inviata a Obama e all'ambasciatore giapponese negli Usa. Ma bisogna fare presto: fra due settimane, al "covo", la pesca dei delfini ricomincerà.

www.thecovemovie.com
www.opsociety.org


FONTE

http://en.wikipedia.org/wiki/The_Cove_%28film%29






Una grande menzogna, innanzitutto. Le sorprendenti immagini di altrettanto sorprendenti delfini che saltano felici, fanno acrobazie e sembrano sorridere al contatto degli esseri umani nei delfinari di tutti i paesi non testimoniano il vero, ma rappresentano un’illusione. In quei “parchi di divertimento” livelli altissimi di stress colpiscono i cetacei più simpatici del mondo fino ad ucciderli, mentre qualcuno dalle parti del Giappone è già pronto a catturarne altri per addestrarli o farne carne da macello destinata al mercato del pesce.
Proprio in Giappone un vero e proprio orrore si consuma per sei mesi all’anno, da aprile a settembre, in una laguna (ribattezzata appunto “the cove”) sulle coste di Taiji, paese di appena settemila anime apparentemente tranquillo, ma che nasconde al suo interno un agghiacciante e invisibile segreto. L’uomo deciso a rendere noto a tutto il mondo quello che succede presso quella baia è Rick O’Barry, addestratore e “migliore amico” di Kathy, il delfino femmina che interpretava Flipper nell’omonima serie televisiva. Dopo il suicidio di Kathy-Flipper avvenuto proprio fra le sue braccia in seguito a un lungo periodo di depressione, O’Barry cominciò a ripensare al significato della sua attività di addestratore, ai mali causati dalla cattività e si diede all’attivismo per la salvaguardia dei delfini.
Dall’incontro con Louie Psihoyos, tra i dieci migliori fotografi del mondo secondo Fortune, nasce l’idea di denunciare il massacro che si compie a Taiji dove avvicinarsi con macchine fotografiche e videocamere è un compito reso impossibile da pescatori e autorità locali, impegnati nella salvaguardia della privacy dell’orrore di cui sono artefici. Con l’ausilio di un’eterogenea squadra composta da sub professionisti, abili operatori audiovisivi e scaltri uomini d’azione e attraverso una studiata strategia di appostamenti è stato possibile realizzare le riprese della mattanza di Taiji.
Documentario che scorre sul filo della denuncia mentre non manca di tenere il pubblico con il fiato sospeso grazie alle sequenze intrise di suspance, “The Cove” ha più di un merito: aver portato alla luce il caso di un macabro business da 2 miliardi di dollari l’anno, tutelato dalla volutamente lacunosa legislazione dell’ International Whaling Commissionche, che ha l’invisibile beneplacito del governo giapponese e dietro cui si nascondono anche gli interessi della Yazuka, la mafia cinese; aver stimolato un dibattito internazionale tanto sul complicato sistema di regole che governa la pesca in mare aperto, quanto sui riscoperti danni causati dal consumo di carne di delfino, pericolosissima per gli alti tassi di mercurio che contiene; e infine aver dato vita a un racconto intenso e avvincente, in perfetto equilibrio in quanto a corposità da reportage d’inchiesta e ritmo narrativo da thriller.
The Cove si è aggiudicato il premio del pubblico al Sundance ed ha vinto l’Oscar come miglior documentario per il 2010.
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Old 13-09-2010, 16:35   #2
Darkness
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The Cove, che letteralmente significa “L’insenatura”, è un documentario sulla caccia ai delfini in Giappone che è stato anche premiato da un Oscar ma che ha suscitato aspre polemiche proprio in Giappone.

I distributori del film, non hanno trovato nessuno disposto a metterlo in cartellone nei cinema perché molte sono state le telefonate intimidatorie e le minacce che hanno terrorizzato i gestori dei cinema.

Il documentario tratta non solo della caccia ai delfini e delle sue atrocità, ma mette in guardia dalle alte concentrazioni di mercurio presenti nel pesce in genere, notizia che in un Paese come il Giappone risulta molto preoccupante visto che il pesce è alla base dell’alimentazione.

Evidentemente questo di “The Cove” è un esempio di come il dibattito pubblico su temi delicati possa essere facilmente imbavagliato da piccole minoranze formate, in questo caso, da esponenti dell’estrema destra giapponese che sostengono: “Se si è orgogliosi del proprio Paese, non si può proiettare questo film” . Queste sono state le parole di Nishimura durante una conferenza.

The Cove mostra scene di caccia ai delfini girate per lo più di nascosto nel villaggio di Taiji, nel sud ovest di Tokyo dove, la squadra guidata da Ric O’Barry, ha assistito a scene molto violente di caccia a questi mammiferi marini in una insenatura isolata dove i pescatori ammassano i delfini, ne scelgono alcuni da catturare vivi e arpionano tutti gli altri a morte in una scena simile alla “mattanza”.

Tutto questo in nome del lucroso traffico dei delfini vivi per gli acquari e al business che soddisfa la domanda locale di carne di delfino.

Se la pesca alle balene è stata ufficialmente messa fuori legge (anche se questa legge viene violata molto spesso come leggerete in seguito) questa proibizione non si estende ai mammiferi marini più piccoli come i delfini e proprio in Giappone si uccidono circa 13.000 delfini l’anno stando ai dati dell’Agenzia della Pesca e di questi, circa 1.750 proprio nell’isola di Taiji.

Gli attivisti stanno cercando di esortare i cinema a resistere alle minacce e a mettere in cartellone il documentario girato dal regista statunitense Louie Psihoyos, alcuni canali internet solidali stanno programmando delle proiezioni streaming del film ma sono tanti i cinema che hanno effettivamente cancellato dalla programmazione The Cove cedendo alle minacce e alle intimidazioni.

In più, come si legge da notizie recenti, il Giappone sta anche conducendo una “battaglia” per continuare a cacciare liberamente altri cetacei, le balene.

Sostengono infatti che l’usanza di nutrirsi della carne di questi cetacei sia “ nei loro geni, un pezzo della nostra cultura“. Così sostiene da anni l’ultraottantenne Shigehiko Azumi, ex sindaco di Ayukawa, il porto storico delle baleniere giapponesi. E sono in tanti a pensarla come lui, una netta maggioranza di giapponesi, senza distinzione di età. Anche quelli che non hanno mai assaggiato un sashimi di balena come quello che servono nell’unico hotel per turisti di Ayukawa.

Ma, per uno scherzo beffardo della storia, il Sol Levante si aggrappa disperatamente a un simbolo che non è suo. Sui manuali di storia a Tokyo non v’è traccia di questa impostura e perfino tra i giapponesi più colti solo pochi osano alzare il velo sulla grande menzogna. Ma la verità è questa: la loro manìa per la carne di balena fu imposta dal generale Douglas MacArthur, il vincitore della guerra del Pacifico, comandante capo delle forze di occupazione americane alla fine della seconda guerra mondiale.

La verità la dice Ayako Okubo, ricercatore oceaonografico, che non ha dubbi su quel che agita il subconscio dei suoi connazionali e li rende così refrattari alle pressioni: “Ai giapponesi non piace particolarmente la carne di balena. Ma piace ancora meno sentirsi vietare il consumo dagli stranieri. È uno dei pochi terreni su cui abbiamo la capacità di dire no all’America“.
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Old 13-09-2010, 17:52   #3
valentina
e la zecca Misha
 
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speriamo, in qualche modo, di riuscire a vederlo
il link che hai messo non mi funziona - http://www.thepetitionsite.com/takea...?z00m=19775525
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Old 13-09-2010, 18:07   #4
Darkness
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@ Vale
avrebbe dovuto reindirizzarti qui:
http://www.thepetitionsite.com/takeaction/724/210/624/
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Old 13-09-2010, 18:10   #5
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gracias !
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